Il caso dello zoo danese: quando la disumanità spaventa

di Pamela Stracci
In questi giorni è balzata in testa alle notizie, quella dello zoo di Aalborg in Danimarca che ha collezionato in poco tempo una miriade di commenti negativi e l’indignazione pubblica per aver chiesto la donazione degli animali – vivi – da compagnia “indesiderati”, per alimentare i loro grandi felini, leoni, tigri e linci: qualcosa di surreale non tanto per la domanda dello zoo – si dice che domandare è lecito – quanto per l’ampia adesione dei proprietari di animali che, nei primi sette mesi di quest’anno, hanno già “donato” 137 conigli, 22 cavalli, 53 polli e 18 porcellini d’India.
Il podio della disumanità in realtà è conteso con un altro zoo, quello di Norimberga, che lo scorso 25 luglio ha abbattuto un gruppo di 12 babbuini per risolvere il problema di sovrappopolazione e conflitti tra i primati: c’erano altre soluzioni? Il santuario gallese Wales Ape and Monkey Sanctuary, specializzato in primati, si era reso disponibile eppure lo zoo ha rifiutato l’offerta per quisquiglie burocratiche.
Ma cosa succede? Perchè?
Il confine sottile tra il Naturale e il Contronatura
La zoologa danese ha difeso la politica dello zoo sottolineando un “pragmatismo”, una “buona causa” per disfarsi di un animale indesiderato fornendo invece ai predatori quell’alimentazione “integrale” che fa parte di un ciclo naturale.
Ma è proprio qui che si annida la contraddizione etica. C’è ben poco di naturale nel tenere una tigre o un leone in un recinto, a centinaia o migliaia di chilometri dal loro habitat originario. La loro catena alimentare, in questo contesto, è una simulazione che viene mantenuta attraverso mezzi artificiali. La pratica dello zoo di Aalborg sfrutta questa finzione per risolvere un problema logistico, utilizzando come “anello debole” della catena non una preda selvatica, ma un animale che, per un certo periodo della sua vita, ha avuto un rapporto affettivo con l’uomo.
Molte critiche sottolineano che questa logica, che difende la necessità di nutrire un predatore con la sua “preda naturale”, dimentica il fatto più importante: che non esiste nulla di “naturale” nel tenere questi animali in cattività per l’intrattenimento umano.
La dicotomia tra la vita in uno zoo, dove gli animali sono esposti al pubblico, e l’ideale di una “buona causa” per la morte del coniglio, del criceto o del cavallo che fino a pochi istanti prima veniva spazzolato da un padrone amorevole, che poi a quanto pare si è rivelato un vero carnefice, solleva profonde questioni etiche.

La realtà dietro le quinte
La struttura non è nuova a questa pratica. L’appello social, corredato da un’immagine di una lince dalle fauci spalancate, non è un caso isolato. Le immagini pubblicate sui canali social dello zoo di Aalborg, come i video del 2018 e del 2020 e infine nel 2024 (ma consiglio di mettere da parte la curiosità) che mostravano – con grande disinvoltura – la macellazione di un pony destinato alle tigri o di un cavallino dato in pasto ai leoni, rivelano una realtà ben più cruda e diretta del post che ha generato la recente ondata di indignazione.
Ma qual è la realtà dietro le quinte?
Semplice! Porta l’animale, ti “sbarazzi” di lui e ricevi pure una detrazione fiscale: caspita! La richiesta di animali da parte dello zoo è accompagnata anche dalla possibilità di ottenere una detrazione fiscale (per i cavalli è pari a 60 centesimi al chilo!), e questo “premio” sembra più un’allettante opportunità di convenienza che un gesto di “pragmatismo” per i patroni di questi animali da compagnia indesiderati. La struttura, che da anni utilizza i social per invitare i privati a disfarsi dei propri animali, ha sempre gestito questa pratica come una normale operazione di routine, forse sottovalutando la crescente sensibilità globale verso i diritti degli animali da compagnia. Sottolineo che l’annuncio non parla di animali vecchi o malandati (io non ne avrei comunque il coraggio!) ma solo di animali indesiderati!
Parliamo di cavalli, una digressione personale
Parliamo di cavalli perché – perdonatemi la digressione personale – quando il mio cavallo è morto ho visto con i miei occhi scendere sui suoi, copiose lacrime di dolore e di paura, consapevole della sua fine imminente, e non dimenticherò mai il suo volto distrutto nonostante sia stato fatto di tutto per salvarlo. Era una parte di me, l’estensione della fanciullesca libertà! Neanche per tutta la convenienza del mondo lo avrei accompagnato a una simile sorte, ma è chiaro che non per tutti è così.
Stessa cosa per quei filmati struggenti dove si vedono le mucche – consapevoli – andare al macello con gli occhi pieni di lacrime: lasciamo stare!
Eppure non è così per tutti
22 cavalli ceduti allo zoo come mangime, solo nei primi sette mesi dell’anno.
Quindi abbiamo la moderna Danimarca dove il cavallo, che fino a poco prima allietava le passeggiate del suo annoiato padrone, viene consegnato allo zoo come un peso da togliere e in cambio anche di una detrazione fiscale, smembrato dai leoni.
Poi abbiamo la “vecchia Europa”, quella tal volta tacciata di non essere moderna, dove gli equidi in Grecia dal 2020 sono riconosciuti come animali d’affezione (ne è vietata la macellazione) e anche l’Italia si sta avviando su questa strada riconoscendo dal 2021 i cavalli sportivi come atleti a tutti gli effetti.
E il resto dell’Europa? A livello Europeo, con il Regolamento UE 2016/429, un animale – in questo caso un equide – non desinato al consumo umano (non da macello) è un animale d’affezione. Che significa? Che gli animali hanno un rapporto emotivo e psicologico con l’uomo… diciamo che sono come noi!
Una riflessione obbligatoria
La vicenda dello zoo di Aalborg ci costringe a riflettere su un aspetto spesso trascurato del mondo zoologico: la linea di demarcazione tra la necessità biologica degli animali selvatici e l’etica del loro mantenimento in cattività. Non si tratta solo di nutrire un predatore, ma di un intero sistema che, con la sua ricerca di una “naturalità” forzata, finisce per tradire la fiducia e il legame che gli esseri umani hanno con gli animali che hanno deciso di accogliere nelle proprie case e nella propria vita.
È una questione di responsabilità e di crudeltà, non di mera retorica. Anche l’uomo macella il bestiame per cibarsi, ma il problema in questo caso riguarda l’irresponsabilità dei padroni che si disfano dei loro animali da compagnia in questo modo, infrangendo il patto di cura e affetto. Certo, così si evita l’abbandono in autostrada, ma lo zoo, incentivando questa pratica, ignora i progressi che hanno dimostrato – ammesso che ce ne fosse bisogno – come gli animali siano esseri senzienti. L’analogia provocatoria non è casuale: speriamo che un giorno non venga mai lanciato un appello per donare i propri figli indesiderati ai felini, solo perché “in natura cacciano l’uomo”!
Rimane sempre da capire la necessità per alcune persone di prendere un animale domestico se non si ha la voglia e la capacità di accudirlo: conigli, criceti, cani e gatti, cavalli e non solo, non sono una moda, un peluche usa e getta ma un impegno di fiducia che dura per tutta la vita nostra e loro.

L’etica della pace
La linea di demarcazione tra le esigenze biologiche di un predatore in cattività e l’etica del loro mantenimento è sottile e spesso ignorata. Così come la fiducia e il legame che si instaura tra uomo e animale non dovrebbero mai essere traditi da un sistema che, in nome di una “naturalità” forzata, finisce per mancare di rispetto proprio alla vita che dice di voler proteggere.
Questa fiducia è un “rispetto di umanità” per tutti gli esseri viventi, perché il confine tra uomini e animali è labile e la storia insegna: gli uomini fanno agli animali ciò che sono capaci di fare ai propri simili!
Possiamo aggiungere anche un’altra visione, quella del Premio Nobel Isaac Bashevis Singer – sopravvissuto all’Olocausto, che nel suo libro, “Enemies, A Love Story” (“Nemici, una storia d’amore”), 1966, chiarisce senza mezzi termini che “In their behavior toward creatures, all men were Nazis. The smugness with which man could do with other species what he pleased, without any concern for their suffering, was the basis for the Nazi philosophy” (Nel loro comportamento verso le creature, tutti gli uomini erano nazisti. La presunzione con cui l’uomo poteva fare ciò che voleva con le altre specie, senza alcuna preoccupazione per la loro sofferenza, era la base della filosofia nazista).
Che si tratti di animali o uomini non importa: guardare dove sta andando – o peggio, tornando – l’umanità, mi spaventa!

La natura non è crudele nonostante il “gioco” preda – predatore, l’uomo si.
Siamo esseri umani, se non siamo capaci di accudire il mondo, almeno conserviamo un po’ di umanità perché come diceva Mahatma Gandhi, Un paese è progressista solo quanto il modo in cui tratta i suoi animali.
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