La festa dei Lavoratori: una storia di conquiste

La festa dei Lavoratori: una storia di conquiste

di Pamela Stracci

La Festa dei Lavoratori affonda le sue radici nella turbolenta epoca della Rivoluzione Industriale negli Stati Uniti, dove i lavoratori delle fabbriche si battevano per migliori condizioni e per la riduzione della giornata lavorativa. Nel 1866, a Chicago, Illinois, fu approvata la prima legge che stabiliva le otto ore lavorative giornaliere, legge che entrò in vigore l’anno successivo, il 1° maggio 1867. Questa data divenne un simbolo di speranza e di lotta per i lavoratori di tutto il mondo.

La tragedia di Haymarket e il sacrificio dei Martiri di Chicago:

Il 1° maggio 1886, a Chicago, si tenne una manifestazione per commemorare l’anniversario dell’entrata in vigore della legge dell’Illinois sulle otto ore lavorative. La Federation of Organized Trades and Labour Unions individuò questo giorno come scadenza limite per estendere la legge delle otto ore a tutto il territorio americano, minacciando uno sciopero generale a oltranza. Anche Chicago partecipò allo sciopero: la protesta durò vari giorni e degenerò in scontri con la polizia, che culminarono con il lancio di una bomba alla dinamite da parte di un anarchico. La risposta delle forze dell’ordine fu durissima: diversi manifestanti furono uccisi e feriti. Non si conosce il numero esatto delle vittime tra manifestanti e polizia né chi lanciò la bomba ma questo evento tragico, noto come Rivolta di Haymarket, portò alla condanna a morte per impiccagione di sette anarchici, considerati responsabili dell’attentato. Questi uomini, divenuti i celebri Martiri di Chicago, divennero un simbolo di lotta e di sacrificio per la causa dei lavoratori. Le loro frasi prima di morire? «Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte!», «Fate sentire la voce del popolo!». Le notizie del tragico evento di Chicago si diffuse in tutto il continente americano.

L’eco in Europa e la Seconda Internazionale:

La notizia della conquista delle otto ore lavorative in Illinois si diffuse rapidamente anche in Europa, dove i movimenti socialisti e marxisti dell’epoca erano in fermento. Nel 1889, durante il Congresso Internazionale Socialista di Parigi, fu ufficialmente dichiarata la data del 1° maggio come Festa Internazionale dei Lavoratori, un giorno dedicato a celebrare i traguardi ottenuti e a rivendicare ulteriori diritti per il proletariato.

La diffusione della Festa dei Lavoratori nel mondo:

Nonostante la repressione di Chicago, l’idea della Festa dei Lavoratori si diffuse rapidamente in tutto il mondo. In Canada, la ricorrenza fu adottata già nel 1894, mentre in Australia si celebra la “Festa delle Otto Ore” in date variabili a seconda dello stato. In Italia, la Festa dei Lavoratori fu ufficialmente riconosciuta nel 1919, dopo un lungo periodo di lotte e rivendicazioni da parte dei sindacati.

La festa, ratificata ufficialmente a Bruxelles nell’agosto 1891 nel II Congresso dell’internazionale, già nel 1890 è praticata con manifestazioni sia a livello nazionale che locale. 

Un volantino, diffuso a Napoli in occasione del Primo maggio del 1890 così riportava: “Lavoratori, Ricordatevi il 1° maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la Rivoluzione sociale! Viva l’Internazionale!”.

L’economista tedesco Friedrich Engels – cofondatore insieme a Marx del socialismo scientifico e del marxismo classico – il primo maggio del 1890 scriverà: “Oggi il proletariato d’Europa e d’America passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito sotto una sola bandiera, per un solo fine prossimo, la giornata lavorativa normale di 8 ore, proclamata già nel congresso di Ginevra dell’Internazionale del 1866 e di nuovo nel Congresso operaio di Parigi nel 1889 da introdursi per legge. Oggi i proletari di tutti i paesi si sono effettivamente uniti. Fosse Marx accanto a me a vederlo coi suoi occhi!”.

Il fascismo e il tentativo di strumentalizzazione:

Durante il Ventennio Fascista, nel 1923 la celebrazione della Festa del Lavoro fu abolita e anticipata al 21 aprile, in coincidenza con il Natale di Roma. Il regime tentò di strumentalizzare la ricorrenza, svuotandola del suo significato originario di lotta e rivendicazione sociale.

Questo il testo del (R.D.L. 19 aprile 1923, n. 833 in G.U. 20 aprile 1923, n. 93, p. 3190):

Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia – recita la legge – vista la legge 23 giugno 1874, n.1968; vista la legge 19 giugno 1913, n.630; udito il Consiglio dei ministri; sulla proposta del presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell’Interno, di concerto con il ministro della Giustizia e degli affari di culto; abbiamo decretato e decretiamo: il 21 aprile, giorno commemorativo della fondazione di Roma, è destinato alla  celebrazione del lavoro ed è considerato festivo, eccetto che per gli uffici giudiziari. È soppressa la festa di fatto del 1° maggio e tutte le pattuizioni intervenute tra industriali ed operai per la giornata di vacanza in tal giorno dovranno essere applicate pel 21 aprile e non pel 1° maggio. Il presente decreto entra in vigore oggi e sarà presentato al Parlamento per essere convertito in legge. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 19 aprile 1923”.

Questo il commento di Mussolini: “La grande guerra, che ha valorizzato ogni manifestazione di attività, ha sviluppato anche in tutte le classi una più profonda coscienza delle energie e del lavoro individuale. Celebrare, in un giorno all’anno, queste energie e questo lavoro è sprone ad una più fervida, proficua attività collettiva e nazionale; ed è bene che ciò sia formalmente riconosciuto in una legge dello Stato. E perché la celebrazione si ricongiunga ai ricordi della nostra storia e del genio della stirpe, il Governo ha voluto farla coincidere con la data del 21 aprile: la fondazione di Roma, data immortale da cui ha inizio il lungo, faticoso, glorioso cammino dell’Italia”.

Il tentativo di far dimenticare le lotte fatte dagli operai, dai lavoratori di tutto il mondo, per ottenere i diritti che nel Primo Maggio trovarono la loro espressione di festa, fu vano e anzi caricarono di aspettative e di sogni questa data. Leggiamo le parole di uno dei Padri fondatori della Repubblica Italiana, Vittorio Foa, classe 1910.

“Il ricordo più lontano è quello dei giorni in cui a me, scolaretto appartenente a famiglia piccolo-borghese di orientamento giolittiano, si aperse per la prima volta in modo ancor confuso ma non dimenticabile, il senso profondo dell’urto delle classi, della missione del mondo del lavoro. La mattina del 27 aprile, sotto la pioggia, mentre andavo a scuola, venni attirato da crocchi di gente che stazionavano in Corso Siccardi, davanti alla Camera del Lavoro. Mi avvicinai e vidi lo scempio. La sera prima i fascisti, sotto l’occhio benevolo delle «forze dell’ordine», avevano invaso, incendiato e devastato la casa del popolo. A mucchi, nelle pozzanghere fangose, libri, carte e documenti. Il palazzo, annerito e come vuoto, offriva una squallida immagine di maestà decaduta. Tutto intorno, gruppi di operai, cupi e silenziosi, col viso sconvolto e i pugni stretti dall’ira. Sapevo per ammaestramento famigliare che i fascisti erano gente cattiva, faziosa e violenta. Ma la sensazione che provai andava al di là di questo giudizio. Era un senso di pena di cui non sapevo rendermi esatto conto e che solo molto più tardi compresi essere la pena di chi assiste a una profanazione, a un sacrilegio: la vista di quei libri, di quelle carte disperse nel fango, rimase nella mia memoria e operò a distanza di anni, insieme con altre esperienze, come un richiamo alla verità. E pochi giorni dopo quella triste mattina, scopersi per la prima volta il Primo Maggio, quando vidi gli operai torinesi uscire nelle strade e nelle piazze e levare le loro bandiere contro fascisti e polizia, e affermare colla loro presenza la loro volontà di lotta. Debolezze ed errori di capi li segnavano all’isolamento e alla sconfitta, ma bastava vedere i loro volti per comprende che la storia e l’avvenire erano con loro, contro i profanatori e i loro complici. Tanti anni e tante vicende seguirono, ma quel più lontano ricordo di Primo Maggio di lotta accompagnò e diede un senso ai tanti primi maggio della galera, anche essi giorni di festa e di lotta, giorni di fede combattiva nell’avvenire”.

Il ritorno al 1° maggio:

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Festa dei Lavoratori fu riportata alla sua data originaria, il 1° maggio: era il 1946. Con la legge 260/1949, all’art. 2 tra le varie festività, fu ristabilita anche la Festa dei Lavoratori il 1 maggio. Incredibile che questa festa fosse riuscita a sopravvivere nel ricordo della gente per oltre vent’anni!

Il Primo maggio del 1945, appena iniziato il processo di liberazione, giovani che non conoscevano questa festa e anziani si ritrovano, insieme, nelle piazze di tutta Italia. In piazza del Popolo c’era Anita, moglie di Giuseppe di Vittorio (sindacalista e fondatore della CGIL), e questa è la sua testimonianza di quel giorno: “Ho assistito in seguito, nel corso di più di dieci anni, a centinaia di manifestazioni delle quali Di Vittorio fu oratore ufficiale, ma quel Primo Maggio resterà tuttavia, per me, indimenticabile”. E parlando della Piazza del Popolo aggiunge: “non fu mai così bella, mi sembra, come quella mattina di sole: lunghi cortei di lavoratori, le bandiere bianche, rosse e tricolori alte nel vento, giungevano da ogni quartiere della città, accompagnati dalle bande dei tranvieri e dei ferrovieri. C’era anche, ricordo, la banda di Madonna della Strada che avanzava tra grandi applausi, preceduta da un’immagine religiosa. Tutti portavano abiti lisi e i volti apparivano segnati dalle lunghe privazioni, e tuttavia una intima gioia, una fiducia in sé, uno slancio di speranza, sembrava animare e spingere la folla. Risuonavano i canti e grida di evviva. Gruppi di giovani, seduti per terra in cerchio, cantavano inni partigiani. Le ragazze distribuivano coccarde tricolori e garofani rossi. Dalla folla saliva verso il palco dei dirigenti sindacali un’ondata di affetto. Anche la terrazza del Pincio era gremita. Io lessi nel volto di Peppino, assieme all’emozione, come un’ombra di smarrimento. Poi cominciò a parlare e subito si stabilì tra lui e la folla una comunione di spirito. Ogni sua parola, così semplice andava a chi lo ascoltava con la efficacia delle cose sempre pensate, esprimendone i sentimenti più elementari e profondi. Ascoltando Di Vittorio ognuno, credo, pensava che, se avesse potuto parlare, avrebbe anch’egli parlato così, avrebbe detto quelle cose, non altre e in quello stesso modo. Era questa la sua grande forza. Egli dava forma ai pensieri e ai sentimenti inespressi degli altri: parlava per tutti”.

La Festa dei Lavoratori oggi:

Oggi, la Festa dei Lavoratori rappresenta un’occasione importante per ricordare le lotte e i sacrifici di chi ha combattuto per i diritti dei lavoratori, per celebrare le conquiste ottenute e per ribadire le sfide ancora aperte nel mondo del lavoro. È un giorno di festa, di riflessione e di mobilitazione, un momento per riaffermare il valore del lavoro e la dignità di ogni persona. Ma questo ricordo non è più sufficiente! È ora il tempo di sviluppare una nuova idea di lavoro, quello che metta al primo posto la persona e in fondo alla scala, gli interessi.

“Il lavoro non è una merce” queste le parole del Presidente della Repubblica Mattarella spese ieri al in occasione della visita a due aziende del Sistema Agroalimentare del Distretto di Cosenza e continua: “Non possiamo accettare lo stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse – anche una sola – è inaccettabile.”

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