MESSERE CARCIOFO: tra arte, storia e cucina

MESSERE CARCIOFO: tra arte, storia e cucina

Il carciofo dell'antichità

Il carciofo è una pianta erbacea della famiglia delle Asteracee tipica del bacino occidentale del Mediterraneo, utilizzata come pianta medicinale sin dai tempi antichi: era un “dono del sole” per Egiziani e Greci che facevano largo uso della varietà selvatica, il cardo. Gli arabi lo coltivavano già dal IV sec. a.C. e lo chiamavano al-karshuf cioè “spina di terra” da cui deriva la parola spagnola “alcachofa”. Il cardo, a differenza del carciofo, era una pianta più piccola, dura e spinosa, e con fiorellini violacei, dalle proprietà rinfrescanti, diuretiche, benefiche, coagulanti e mediche e veniva utilizzato per curare vari disturbi tra i quali quelli del fegato. Lo scrittore agronomo romano Columella (nato nel 4 d.C.) ci racconta che il termine Cynara, carciofo, deriva dal latino cinis, ovvero “cenere” perché di questa polvere veniva arricchito il terreno per la coltivazione della pianta. Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia raccontava delle proprietà rinfrescanti, diuretiche e benefiche di questo ortaggio ma anche afrodisiache se gustato con il vino. Ancora oggi il fiore del carciofo non ancora sbocciato è largamente utilizzato nelle tavole primaverili sia crudo che cotto mentre a scopo terapeutico si utilizzano le foglie dal sapore molto amaro.

La leggenda della ninfa Cynara

Secondo la leggenda greca Cynara era una bellissima ninfa con un volto luminoso e la pelle rosata, un portamento elegante e gli occhi di un verde cangiante con delle pagliuzze viola. Per il color cenere dei suoi capelli le era stato dato il nome Cynara. Un giorno Zeus, mentre stava andando a far visita a suo fratello Poseidone, vide la ninfa camminare su una spiaggia della Sicilia e se ne innamorò perdutamente. Secondo una versione del mito, il dio sedusse Cynara e la trasformò in dea per portarla sull’Olimpo con lui. Ma trascorso del tempo, la ninfa, che era triste per la mancanza dei suoi famigliari, scappò. Secondo un’altra storia, la ninfa rifiutò fin dall’inizio le attenzioni del Padre degli Dei. Fatto sta che Zeus in un momento d’ira trasformò la ninfa in un ortaggio, un carciofo per l’appunto, dal colore verde con sfumature e fiori viola, come gli occhi della ragazza, spinoso e impenetrabile dall’esterno come l’amore che la ninfa aveva rifiutato, pur rimanendo tenero l’interno come il suo carattere gentile.

Dall'addomesticazione etrusca ad oggi

La coltivazione del carciofo in Etruria sembra risalire al tempo degli Etruschi ai quali alcuni autori attribuiscono l’opera di addomesticamento della varietà selvatica del Cynara cardunculus: il famoso etruscologo Massimo Pallottino, in particolare, testimonia la coltivazione del cardo nell’Etruria laziale già oltre 2.500 anni fa. A sostegno di questa tesi sta il ritrovamento, in alcune tombe numerate della necropoli di Tarquinia, di raffigurazioni riconducibili con buona probabilità proprio alle foglie di carciofo selvatico. Che il carciofo fosse conosciuto in epoca antica è testimoniato anche da alcuni mosaici come per esempio quello rinvenuto nella villa marittima romana conosciuta come la Villa di Pompeo situata nella frazione di San Nicola a Ladispoli.
Tuttavia il carciofo non ha sempre riscosso favori: per buona parte del Medioevo a causa “della durezza, delle spine e dell’amaritudine”, scrive Ludovico Ariosto, questo ortaggio non fu più utilizzato come ingrediente per le pietanze. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, il carciofo viene riscoperto principalmente come risorsa agricola, vista la facilità di coltivazione e riproduzione delle piante per la produzione dei “boccioli” da mangiare e la lunga durata degli impianti, che mantengono una buona produzione per almeno 6 o 7 anni.

Il carciofo romanesco IGP

Il Carciofo Romanesco del Lazio viene coltivato sul litorale e nell’entroterra delle campagne di Ladispoli, Cerveteri, Santa Marinella, Tarquinia e non solo. È stato il primo prodotto italiano ad essere tutelato a livello comunitario, con il marchio dal 2002 dell’Indicazione Geografica Protetta, l’IGP.
A Ladispoli, in particolare, il successo di questa coltivazione tipica locale, spinse la Pro Loco a rilanciare l’economia della città: il 2 aprile del 1950 entra nella scena delle tradizioni gastronomiche e turistiche della città la Sagra del Carciofo Romanesco che nel 2001 è diventata anche una fiera nazionale riconosciuta non solo in Italia ma anche all’estero.

I fiori edibili del carciofo

La pianta produce tre tipi di fiori: un cimarolo (che è il fiore principale e superiore del carciofo), tre braccioli (nella parte intermedia) e quattro-cinque costoloni (nella parte inferiore). Oltre a questi la pianta produce anche i “carciofini” (dei carciofi più piccoli) che possono arrivare anche a 30-32 per pianta. Tutte queste parti vengono vendute e raccolte separatamente. Il cimarolo è quello più costoso e grande, i carciofini sono i più piccoli e generalmente vengono usati per essere preparati e conservati sott’olio.

Come si coltiva e raccoglie il carciofo

Il territorio di Ladispoli e Cerveteri, grazie al suo terreno vulcanico, da sempre ha favorito la coltivazione del carciofo. Per conoscere i segreti di questa coltivazione, abbiamo intervistato un agricoltore locale produttore di carciofi. Le piante possono essere riprodotte in due modi differenti:
– Il primo è il metodo del “ciocchetto” fatto direttamente in azienda: nel mese di agosto si tagliano le piante vecchie a circa tre centimetri dal livello del terreno. La parte rimanente viene divisa in quattro sezioni e piantata. I ciocchetti così ottenuti non vengono direttamente piantati nel campo, ma prima in vasi di plastica contenenti un terreno particolare, la “torba”, e solo dopo aver raggiunto i 15 cm di altezza, le nuove piantine verranno trapiantata in campo. È il metodo più utilizzato: permette di mantenere il patrimonio genetico del prodotto. Inoltre consente di tutelare le piante, in questa fase di preimpianto, dalle malattie e da animali come topi e arvicole;
– Il secondo metodo è quello del “cardino” o dei “carducci”: verso il mese di ottobre, si puliscono le carciofete e si diradano dalle piccole piantine cresciute spontaneamente accanto alla pianta madre per essere trapiantate e messe a dimora direttamente in campo.
Le piante vengono posizionate a una distanza di 80 cm – 1 m e a circa 1,40 m tra una fila e la successiva. Più l’ambiente in cui cresce la pianta è piovoso e più carciofini produrrà la pianta.
Il carciofo si raccoglie a partire dal mese di febbraio, quando il capolino ha le giuste dimensioni e le punte sono ancora ben chiuse. Una volta i carciofi venivano raccolti tramite delle ceste che venivano portate in spalla. Oggi la raccolta avviene con un trattore rialzato munito di un rimorchio sollevato. Dopo la raccolta, i cimaroli vengono legati a mazzi da dieci che sono posti “in piedi” durante il trasporto, mentre i braccioli e i costoloni vengono incassettati. Le qualità di carciofo che un tempo si potevano acquistare erano il “campagnano” e “castellammare”, che ora sono state sostituite da varietà più precoci, con una raccolta che arriva anche con un mese di anticipo.

Il carciofo nell'arte

Il carciofo non è soltanto uno dei prìncipi della tavola, da mangiare sia crudo che cotto, sia come portata principale che come contorno, sia con la carne che con il pesce, ma si è ritagliato un posto da protagonista anche nell’arte.
Diversi artisti hanno raffigurato sulle loro tele questo ortaggio: il pittore milanese Giuseppe Arcimboldo, famoso per i suoi ritratti compositi con frutta, ortaggi e oggetti vari, pone un carciofo sulla spalla del “Vertumno”, il celebre quadro raffigurante l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo. In un’altra opera dello stesso autore cinquecentesco dal titolo “Estate”, l’ortaggio, è raffigurato diritto sul petto della donna, chiuso ancora nel suo fiore immaturo. Philippe Rousseau, Renoir, De Chirico, Renato Guttuso sono solo alcuni tra gli artisti che hanno dipinto carciofi! Anche vari monumenti e fontane sono stati dedicati a questo fiore: la fontana del carciofo a Napoli e quella a Firenze, il monumento al carciofo di Cerda in Sicilia, la fontana “Fuente de la Alcachofa” a Madrid, sono alcuni esempi. Il celebre poeta latino-americano Pablo Neruda nel 1971 dedica a questo portentoso ortaggio addirittura un’ode, Oda a la Alcachofa (“Ode al carciofo”), dove lo paragona, ad un “guerriero dal cuore tenero”.
Anche Marilyn Monroe, nel 1949, quando ancora non era la stella immortale che tutti conosciamo ma solo una giovane ragazza di nome Norma Jean Mortenson Baker Monroe, venne incoronata “Regina del carciofo” nell’omonimo festival (Artichoke Festival) che si tiene tutt’oggi a Castroville in California nel mese di giugno.

Un piatto di carciofi per Caravaggio!

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, si sa, ha condotto una vita passata tra momenti di genialità ed episodi di violenza che lo vedevano spesso implicato in risse e sommosse. Questo ultimo passatempo nel 1606 gli valse la condanna a morte per aver ucciso un uomo, Ranuccio Tomassoni, durante una lite banalissima: un fallo durante una partita a palla. Vari sono gli episodi che narrano il modo di vivere quotidiano di questo uomo dallo spirito indomito e tra questi un aneddoto della vita del Caravaggio ci porta proprio ai carciofi!

Un giorno un malcapitato garzone dell’Osteria del Moro a Roma, tale Pietro Antonio de Fosaccia, servì al Merisi e a dei suoi amici, un piatto di carciofi. Era il 26 aprile del 1604 quando il cameriere sporse denuncia contro Caravaggio con queste testuali motivazioni: “Ho portato loro otto carciofi, quattro ripassati nel burro e quattro fritti. Quando l’imputato mi chiese di indicargli quali erano quelli al burro e quali quelli cotti nell’olio, io gli consigliai di annusarli. Lui si arrabbiò e, senza dire nulla, afferrò il tegame di terracotta e mi colpì sulla guancia, ferendomi lievemente poi si alzò e prese la spada del suo amico che giaceva sul tavolo, forse con l’intenzione di colpirmi. Allora io scappai e venni qui alla stazione di polizia per rendere una denuncia formale”.

Pamela Stracci

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