SPECIALE: Rosario Galli, una vita per il teatro

SPECIALE: Rosario Galli, una vita per il teatro

A cura di Pamela Stracci 

Catanese di nascita ma romano di adozione, laureato in Scienze Politiche a La Sapienza di Roma nel 1979, Rosario Galli è uno tra i più affermati scrittori e registri teatrali italiani. Dal 1977 ha rappresentato più di cinquanta testi e prodotto sessanta spettacoli collezionando riconoscimenti come il Premio Fondi La Pastora, il Premio Under 35, il Premio Ombra della Sera Festival Internazionale Città di Volterra. Nel 1982 frequenta la scuola di Drammaturgia di Eduardo De Filippo e poi assume la direzione artistica della Sala Caffè Teatro dell’Orologio insieme a Michele Mirabella e Mario Moretti.  Autore del famoso spettacolo teatrale cult “Uomini sull’orlo di una crisi di nervi” (1994), che ha ispirato l’omonimo film di successo. Non solo teatro: ha partecipato alla stesura della fiction“Elisa di Rivombrosa” trasmessa su Canale 5 (2003-2005) e ha scritto alcune serie televisive per Bud Spencer (“Extralarge”e“Noi siamo angeli”). Ha firmato la co-sceneggiatura dell’horror italiano “Streghe” (1989) girato in Florida. Molti dei suoi testi sono stati tradotti in varie lingue e rappresentati in tutto il mondo da New York a San Pietroburgo. È stato Segretario Generale della SIAD, Società Italiana Autori Drammatici, e dal 2014 al 2022 responsabile organizzativo del Teatro Palladium dell’Università di Roma Tre.

Abbiamo il piacere di avere nella redazione di Quia Magazine il regista, drammaturgo e sceneggiatore Rosario Galli, grazie di essere qui. Entriamo subito nel vivo dell’intervista! Qual è stata la sua ispirazione per diventare un regista teatrale? C’è stato un momento o un’esperienza specifica che l’ha spinto verso questa carriera? 

La mia prima regia risale alla Pasqua del 1978, durante il sequestro Moro, andavo in auto a fare le prove di Processo a Gesù di Diego Fabbri; me lo aveva chiesto un prete, un prete che amava molto il teatro e mi convinse a far recitare i contadini della sua parrocchia, era la zona di Tragliata, Testa di Lepre, pieno agro romano. Una specie di Teatro povero di Monticchiello, meno famoso, ma il metodo e la finalità erano simili. Poi in autunno mi cimentai con dei ragazzi di una scuola superiore, mettendo in scena Rivoluzione alla Sudamericana di Augusto Boal, autore del tutto sconosciuto a quel tempo, e che poi sarebbe diventato un guru del teatro di sperimentazione dopo che Feltrinelli pubblicò i suo scritti dal titolo Il Teatro degli oppressi. Dico questo per sottolineare che il Destino o il Fatum, come preferite, molto spesso decidono per noi; sono gli incontri, le persone, le circostanze, che determinano le nostre scelte.
Ovviamente dobbiamo avere anche una predisposizione, un talento, più o meno nascosto e sviluppato, che ci suggerisce di accettare e provare a percorrere una strada invece di un’altra.

Fellini prima di fare il regista aveva lavorato come giornalista della rivista satirica “Marc’Aurelio”. Questa esperienza nella scrittura comica e nella caricatura politica ha influenzato lo stile cinematografico di questo grande protagonista, contribuendo alla creazione di personaggi eccentrici, situazioni surreali e umorismo distintivo nei suoi film. C’è una situazione, una esperienza particolare, che ha influenzato il suo stile narrativo?

Teniamoci ben distanti da certi accostamenti ovviamente…nel senso che la domanda poteva andare bene anche senza quell’illustre paragone; la cosa curiosa è che ho fatto un piccolo ruolo come attore con il Maestro Fellini, in Ginger e Fred, ma questo è un altro discorso, rispondo alla domanda. In realtà non riesco a identificare il mio “stile narrativo”, per il semplice fatto che ho pubblicato solo un romanzo di narrativa e poi ho scritto tantissimo teatro e molte sceneggiature; come faccio a trovare uno “stile” in tutta questa enorme massa di linguaggi diversi? Ho voluto provare tutto, un po’ per scelta un po’ per caso, commedie, horror, musical, polizieschi, gialli, tragedie, drammi storici, cabaret, mi ha sempre entusiasmato l’idea di sperimentare un genere diverso da quello che avevo fatto prima. Il risultato? Mi sono divertito moltissimo.

Qual è stato il suo spettacolo teatrale più significativo o memorabile finora? C’è un’esperienza o un risultato specifico che l’ha reso particolarmente orgoglioso? 

Da punto di vista del successo inteso come riconoscibilità di un certo prodotto, non ci sono dubbi, è UOMINI sull’ORLO di una CRISI di NERVI; debuttò a marzo del 1994 e stette in scena due mesi (impensabile ai giorni nostri), poi in estate si girò il film nel mitico TEATRO 5 di Cinecittà, quello di Fellini giustappunto, in autunno si riprese lo spettacolo che fece una tournée di mesi e andò al Parioli di Costanzo, Pippo Baudo lo vide e volle Claudia Koll (che era la protagonista), a Sanremo con lui nel ’95. Poi nel ’96 e ’97 e ’98 continuò con attrici diverse, e intanto si girò una versione televisiva per RAI 2; le compagnie amatoriali di tutta Italia continuano a chiedermi il permesso di rappresentarla, ne ho fatto non so più quante versioni, nel 2019 sono andato a vedere l’edizione ungherese a Budapest, ne ho fatto una per la RAI all’Auditorium di Napoli in diretta con il pubblico, Gremese ne ha pubblicato un volume, così hanno cominciato a copiarlo, alcuni in forma spudorata, altri meno, tanti altri autori e attori, uomini e donne, hanno cominciato a ispirarsi a quel titolo e a quel format, creando situazioni molto simili, di donne, casalinghi, nonni, una congerie infinita di personaggi “sull’orlo di una crisi di nervi”. In realtà a me non ha dato fastidio, meglio essere copiati, dico sempre, meglio essere il prototipo, che la copia.

 

In “Uomini sull’orlo di una crisi di nervi”, quattro amici si incontrano ogni settimana per giocare a poker, sfogando puntualmente nel gioco lamentele e frustrazioni nei confronti delle loro mogli. Lo scorso maggio ha portato in scena invece che i mariti, le “Mogli in crisi di nervi”, dove stavolta si gioca a Burraco. Ora, perché gli uomini sono “sull’orlo” mentre le mogli sono – già – in crisi?

Bella domanda, davvero, non ci avevo mai pensato a questa sfumatura, la ringrazio perché mi obbliga a fare una riflessione interessante. Solo che al momento non ho la risposta, devo riflettere; io sono un tipo lento, molto lento, non ho la risposta pronta di quelle fulminanti che ti lasciano di stucco; è il mio limite. Prometto che da oggi inizierò a meditare su questa che può sembrare a prima vista solo una sfumatura lessicale, e invece nasconde molto altro… che spero di scoprire e magari le scriverò per dirle a quali risultati sono giunto.

Non solo registra ma anche attore. Cosa si prova a dover seguire le indicazioni di un altro regista: come riesce a tenere a bada la sua anima quanto è diretto da qualcun altro?

Questa la so, è facile; non faccio l’attore spesso, e quasi sempre lo faccio nelle mie commedie, anche se diretto da altri, per cui sono facilitato avendole scritte; recitare è faticosissimo, le persone non si rendono conto di quanto si sudi a stare sul palcoscenico, quindi per una persona pigra come me è bene limitare l’attività recitativa. La mia pigrizia è quella che mi permette di abbandonarmi completamente nelle mani del regista, quando faccio l’attore mi rilasso completamente, non devo pensare a niente, solo a imparare la mia parte a memoria e seguire passo passo tutto ciò che mi dice di fare chi dirige l’opera, vuole mettere l’enorme libertà psicologica che c’è in questo procedimento? Non c’è situazione migliore, è davvero fantastico poter recitare e basta. E poi detto tra noi, quando faccio l’attore penso a quanto possono “rompere” gli attori quando sono io il regista e allora mi dico, “no, per favore, non fare al regista quello che non vorresti gli attori facessero a te”. Semplice non trova? Mi pare che da qualche parte in un testo sacro per i cristiani, ci sia qualcosa di simile… anche se riferito alla vita di tutti i giorni.

Nel 2021 l’esordio con il romanzo, “L’amico imperfetto” che ha esaurito in pochi mesi la tiratura. I due protagonisti sono il Principe e Luciano, la vita veloce e quella riflessiva, le donne e quella ideale, due facce della stessa medaglia, i due volti di un Giano Bifronte. In questo romanzo omette quasi tutta la punteggiatura: un flusso continuo di coscienza alla “Ulisse” di Joyce oppure ha pensato ad un lettore protagonista per certi versi della storia, libero di “mettere il punto” dove vuole? Perché ha scelto questo espediente narrativo?

Per fortuna l’editore ha ristampato il libro, così chi vuole lo trova… Battute a parte, la domanda è davvero impegnativa e occorre uno spazio che non so se abbiamo qui; proverò a essere sintetico ma non credo che riuscirò a esprimere tutto ciò che dovrei e vorrei dire. Da una parte si tratta di un espediente narrativo, ma non è stato voluto fin dall’inizio; quando cominciai a scrivere il romanzo non avevo ancora trovato tutte le soluzioni che poi si sono svelate nel corso della stesura; alcune mi sono apparse in corso d’opera, letteralmente, una vera epifania che mi ha entusiasmato in certe ore della prima mattina, nel dormiveglia, con il cervello non ancora lucido e razionale del tutto, che però lavorava alla trama e allo sviluppo di ciò che stavo scrivendo.
Così quel flusso di coscienza del Principe, colui che racconta la storia, la propria vita, aveva bisogno che non ci fossero punti e virgola, né puntini di sospensione, né punti interrogativi o esclamativi, o parentesi, non poteva e non voleva troppe interruzioni perché il Principe parla, parla, parla, è un fiume in piena che a volte rischia di travolgere chi l’ascolta, e poi… poi si arriva al capitolo finale e… allora tutto si compie, tutto si svela, e chi legge ha la risposta ai dubbi che gli son venuti durante la lettura, e di colpo si squarcia il velo e tutto s’illumina e molti, tantissimi lettori ormai (per fortuna), mi hanno detto di essere rimasti sconcertati da quella rivelazione al punto che… hanno ricominciato a leggerlo dall’inizio. Un critico importate durante una presentazione mi ha fatto uno dei complimenti più belli dicendo che anche lui giunto alla fine ha sentito il bisogno di rileggerlo da capo e lo ha definito “il romanzo che visse due volte”. Ecco, questo è un tentativo di risposta ma avrei molto da dire ancora ma lo farò quando mi inviterete a Bolzano a presentare il romanzo. 

 

Torniamo al teatro: qual è secondo lei il ruolo del teatro nella società contemporanea? Crede che il teatro possa avere ancora un impatto significativo sul pubblico e sulla comunità?

Ahi ahi ahi! Questa è davvero terribile, sì perché sarebbe facile fare bella figura dicendo come fanno quasi tutti, ma certo, il Teatro è eterno, non morirà mai, etc. etc. Purtroppo non appartengo alla schiera dei buonisti, degli ottimisti, dei compiacenti, di coloro che devono a tutti i costi piacere o rassicurare.
Il Teatro, in Italia, e sottolineo tre volte in Italia, da moltissimi anni non ha più alcun ruolo significativo sulla società, sulle masse, sull’opinione pubblica, a parte qualche rarissima eccezione. Il Teatro (in Italia), è un fenomeno marginale, sempre più di nicchia, relegato a pochissime persone che lo praticano e lo frequentano. Esiste una realtà magnifica, il Teatro Amatoriale, che conosco da quarant’anni, e che sempre di più sta diventando un fenomeno importante nel tessuto sociale italiano, molto più di quello professionistico. Prima quando ho detto che UOMINI fu replicato per due mesi ho aperto una parentesi e detto oggi impensabile; ecco appunto.
Ho coniato una definizione per la nostra attuale realtà, il TEATRO DELLO SPRECO! Pensate che si fanno spettacoli che vengono replicati due, tre volte e poi muoiono per sempre; sono pochi gli allestimenti che riescono a mettere insieme quella che una volta si chiamava tournée. Come si fa a vivere, professionalmente, di teatro? E poi la gente, le
persone, il pubblico insomma, quello che dovrebbe stare seduto in platea e trovare qualcosa di interessante all’apertura del sipario, siamo davvero sicuri che abbia qualche interesse a questo rito? Io credo ancora nella sacralità del rito teatrale, credo che sia un momento catartico unico e insostituibile, ma l’Uomo di oggi, appeso a uno smartphone, in perenne connessione con qualcuno, è ancora interessato a tutto questo?

Quali consigli può dare ai giovani registi teatrali che stanno iniziando la loro carriera? Cosa ritiene sia fondamentale per avere successo in questo campo e rimane veri a sé stessi? 

Credo che la cosa più difficile sia dare consigli, in generale, specie quando non richiesti. Infatti non uso darne. Però posso dire con assoluta certezza che un regista, oggi, come ieri, è un organizzatore di sensibilità, un mediatore di psicologie fragili (gli attori), e deve avere come prima qualità la pazienza, e poi l’empatia, la capacità di ascoltare, e anche una due idee generali sul tipo di spettacolo che vuole realizzare, ma senza strafare, senza alzare la voce, senza sbattere i pugni sul tavolo o umiliare chi sta sul palco. Quella categoria di registi è in estinzione, per fortuna, e spero di non vederne mai più.

Quali sono i prossimi progetti, a cosa sta lavorando?

Ho appena finito la riscrittura di un mio vecchio testo su don Chisciotte; lo scrissi la prima volta nel 1996, poi lo misi nel cassetto, poi dopo quasi quindici anni ne feci un allestimento ridotto, rivisto e corretto, solo per poche repliche, appunto, e siccome detesto questo “spreco”, l’ho ripreso di nuovo, risistemato, tagliato, aggiunto, modificato, e nei prossimi giorni inizierò a leggerlo con un gruppo di attori ad Amelia (Terni, Umbria), con i quali ho costituito da poco una APS (associazione promozione sociale) ROMAMERIA, appunto, metà romani e metà amerini, con l’obiettivo di creare Bellezza, Meraviglia, Stupore. Forse voliamo troppo alto? Sì, decisamente, ma bisogna pur provare a reagire alle brutture e al degrado, all’imbarbarimento culturale di questo mondo, non crede?

Grazie al regista Rosario Galli per aver condiviso con noi la sua visione. 

Come diceva William Shakespeare: “Tutto il mondo è un palcoscenico e gli uomini e le donne sono soltanto attori. Hanno le loro uscite e le loro entrate e nella vita ognuno recita molte parti”. Qual è la vostra?

© Riproduzione riservata

Photo-video credits:  archivio fotografico Rosario Galli ©

 

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