M. Serao: Dualismo (prima 2)

M. Serao: Dualismo (prima 2)

Dualismo
Novella tratta dalla raccolta "La moglie di un grand'uomo" di Matilde Serao (1856-1927)

SECONDA PARTE

Vi erano ore in cui Flavia si sentiva penetrata, circonfusa da una grande soavità, come se voci alte e lontane le cantassero una dolce canzone, come se mani di fanciulli facessero piovere sul suo capo foglie di fiori. Le si risvegliavano istinti vaghi, aspirazioni fluttuanti, indecise: desiderava i colori molli, temperati, dove le mezze tinte si sfumano come una carezza: le piccole stanze dove la temperatura è tiepida come soffio umano, dove i rumori vanno a spegnersi nella lana morbida dei tappeti; le stoffe calde e profumate, dal leggero fruscio, che circondano il corpo, come se lo amassero e palpitassero con esso, gli effluvii sottili che cullano i nervi in un dormiveglia delizioso. E sul fondo roseo-azzurro di questi sogni compariva un’ombra leggera, che poi si delineava più corretta, si distingueva; era Leone. Bello, nobile, ricco, gentiluomo innamorato, stirpe di principi: con lui la vita dovea essere una lunga ed inesauribile festa, una serie di giorni felici, sorridenti, senza mai l’amarezza del domani, senza un cruccio, senza un punto nero. Flavia l’amava; quando dalla sua carrozza ella lo vedeva passare sul cavallo inglese dalla testa svelta e dai garretti di acciaio, il cuore le si sollevava verso il bello ed elegante cavaliere; quando vedeva lo sguardo altero di lui diventare amoroso fissandola, quando egli le parlava a voce sommessa, ella provava un fascino irresistibile. Leone era per lei tutto un mondo, un mondo elevato, superiore anche alla sventura, dove si gode la soddisfazione dei gusti più raffinati, la calma profonda e sicura della ricchezza, l’infinita e varia lusinga del lusso. Leone era la pace, la gioia tranquilla, la vita quieta. E nella certezza dell’amore di Leone essa cullava, addormentava il suo cuore.
Ad un tratto avveniva rapidissimo il risveglio: tutto il suo essere dava in un grande sbalzo, scosso da una forza interna; si alzava, camminava, avrebbe voluto spezzare qualche cosa fra le mani, si sentiva la testa troppo piccola. Sorgevano pensieri tumultuosi e cozzanti tra loro, idee vaste ed ardite, un bisogno chiarissimo di agitazione, di attività, di combattimento. Allora intendeva quanto di sublime ha il silenzioso lavoro del poeta e del pensatore; comprendeva come l’arte possa essere l’unico supremo desiderio di un uomo, intendeva la sfrenata ambizione di gloria; essere in basso, essere povero, sconosciuto, perduto nella folla, atomo ignoto di una massa enorme, ed intanto guardare in alto, elevarsi, salire, sfolgorare, essere il solo, l’individuo: Everardo. Con lui la passione energica, onnipossente; un amore che sia l’amore unico, che domini tutto, che vinca ogni ostacolo, che consoli ogni sconfitta, che ingrandisca ogni vittoria. L’oscuro poeta adorava la nobile fanciulla che discendeva dalla sua altezza a bearlo del suo affetto; ed ella era conscia, superba di questo amore cieco, animato dalla più fiera gelosia. Quando Flavia era al ballo, sapeva che nella strada buia e solitaria vi era un uomo che fremeva d’impazienza, che invidiava anche l’ultimo servo di quella casa inondata di luce. E nelle sale dorate, tra gli ondeggiamenti delle stoffe ed i sorrisi delle donne, essa, presa da una folle idea, avrebbe voluto lasciar tutto, fuggire per le scale, gettarglisi al collo e dirgli: Ti amo; portami via.
Quando pensava alla vita stentata e meschina di Everardo, alla piccola e bassa camera dove l’inverno si moriva di freddo, alle privazioni continue cui andava soggetto, a tutti quei particolari spaventosi della miseria, provava per quel giovane una grande ammirazione, perché in mezzo a quell’ambiente egli rimaneva poeta, pieno di fede, carezzando sempre le speranze, sognando ancora il suo ideale. Flavia si sentiva molto umiliata davanti a quel coraggio, essa che non poteva rinunziare al fastoso e vuoto lusso, ai gioielli inutili, alle mode costose: come le odiava tutte queste cose, come le odiava! Avrebbe voluto rinunciarci, castigare il suo corpo che viveva in quelle mollezze, esporsi al freddo, alla fame, e portare anche lei nel cuore quel tesoro di forze e di gioventù. Sposare il poeta, essere la vita della sua vita, passare per tutte le sue agitazioni, dividere la sua esistenza(1) piena di fremiti, di battaglie e di dolori!
Così si svolgeva in quella fanciulla noncurante ed allegra il dramma meraviglioso del dualismo. Si erano manifestate due potenze, ugualmente forti, opposte; le inclinazioni, sin allora indistinte e confuse, si staccarono, prendendo vie contrarie. Visse passando per questi periodi consecutivi, l’uno negazione dell’altro, che si distruggevano volta a volta, per rinascere più vigorosi e combattere da capo. Eppure essa non ne soffriva; anzi in questo fenomeno strano del suo spirito si sentiva completa e soddisfatta quasi avesse ritrovato il suo equilibrio. Quell’ondeggiamento perenne la lasciava calma, era il suo stato naturale, era spiegabile.
Flavia nasceva da un matrimonio misto: suo padre molto in alto, sua madre molto in basso, ed ognuno dei due le aveva dato una natura. Aveva con sé la tempra robusta della madre, i gusti semplici e grandi, il desio di lotta, il palpito onesto e vivace, il soffio sano e gagliardo del popolo. Del padre aveva lo squallido sentire: la delicatezza dei nervi, le aspirazioni gentili. Insomma due coscienze; ma queste due coscienze si confondevano, si univano, ne formavano una sola, gli amori si riducevano in uno solo, e Flavia era felice, molto felice, avendo ritrovato nel modo più assurdo l’unità del suo spirito.

I due giovani che si erano incontrati e fusi così bene nel cuore della fanciulla incontrandosi nella vita reale e sapendosi rivali, si guardarono in cagnesco: Leone prese Everardo per un pazzo ardimentoso, Everardo scambiò Leone per uno sciocco orgoglioso. Certo non potevano intendersi e molto meno apprezzarsi: andarono d’accordo in un solo moto spontaneo, perché l’indomani Flavia ricevette due lettere quasi identiche la cui sostanza era la parola: scegli.
La fanciulla provò un doloroso stupore, uno stringimento affannoso al cuore come se le avessero annunziato una grande sventura: credeva di fare uno di quei sogni terribili dove si cade, si cade sempre da una smisurata altezza e l’angoscia si prolunga fino al risveglio. Scegliere. Doveva scegliere. Perchè? Aveva tanto goduto, la sua vita era stata così completa e piena nell’amore! Scegliere. Chi? Sentiva di amarli egualmente, sentiva che tutti e due le erano necessari, non poteva neppur figurarsi di dover annullare uno di quei nomi dalla sua mente, di cancellare una di quelle immagini dall’anima. Era impossibile, impossibile, impossibile. Le si chiedeva una cosa ingiusta, era sdegnata contro quella domanda. Tutto cadeva, tutto cadeva, tutto precipitava nel nulla: la bella armonia era turbata e rotta, la pace era scomparsa, bisognava scegliere: cioè amarne uno solo, far sacrifizio di un affetto all’altro, soffocare una delle coscienze, morire per metà. Volle farlo, volle decidersi, accumulò gli argomenti che dovevano difendere e far prevalere la causa di uno dei due giovani, prese anche una determinazione e cercò di fortificarsi in essa; fu inutile: il momento dopo pensava all’altro. Passò giorni tristissimi, stanca, sfiduciata, in preda a dubbi crudeli, abbandonata a tormentose esitanze: era uno stato insopportabile. Allora preferì l’abbandono completo, lo schianto intiero: distaccò da sé tutto l’amore, rinunziò ad ambedue. Leone ed Everardo la giudicarono una civettuola comune; ma essa non si curò di spiegar loro il mistero del suo cuore.
La bionda fanciulla ha molto sofferto, ha trascorso le notti insonni e le giornate malinconiche, ma anche il dolore si attenua, diminuisce e scompare. Per lei l’amore è diventato un ricordo lontano lontano, un’epoca felice e passata, un periodo bellissimo ed esaurito; ci pensa talvolta, ma senza volerlo far rivivere. Come molte persone di questa terra, ha amato quanto ne basta: nei suoi due amori, ha riassunto il suo grande amore. FINE

Matilde Serao (1856-1927)

Scrittrice e giornalista italiana

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Matilde Serao (Wikipedia Commons)

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